Anni fa mi sono chiesto della “persistenza
delle cose” concludendo il mio ragionamento con una considerazione: solamente madre
natura la possiede nella sua totalità. Non mi addentravo però in quello che
succede all’essere umano lungo la strada per riuscire a mantenere i suoi
accadimenti. La notizia è che nei nostri fallaci tentativi, a volte, anche se
per periodi limitati, riusciamo.
La persistenza delle cose ci fornisce
una strada da percorrere, ci dà un indirizzo preciso che ci aiuta a prendere
delle decisioni.
Come?
Può bastare la testardaggine?
O un sogno insistente o un desiderio
ricorrente?
È una domanda che mi percuote il
cervello senza sosta e non mi lascia tempo per formulare una valida risposta,
ma proverò ugualmente.
Le forze che attraversano la nostra
vita sono molteplici e variegate, ma soprattutto acquisiscono forme diverse con
lo scorrere del tempo. L’importanza che si lega ad alcuni eventi è strettamente
legata, legata indissolubilmente direi, al tempo che accumuliamo sulla nostra
pelle e negli occhi.
Dico questo perché si pensa
erroneamente, attraverso un’alta dose d’intransigenza, che la costante massima
nella vita sarà sempre quella di essersi accaparrato le idee migliori, sarà
essere coerenti ai propri pensieri o responsabili verso i valori più intimi che
possediamo. Il punto però è che quei valori, quelle credenze, tutte quelle idee
seppur mature e radicate nel nostro animo, sono e restano “roba” elaborata, creata
e filtrata dalla nostra personalità, che approccia alla vita attraverso
dinamiche personali.
Ma il vivere quotidiano ci riserva
una moltitudine di fatti che segnano per sempre il nostro essere indipendentemente
da come siamo. Un lutto ad esempio. Una nascita ad esempio. Un addio per
esempio o un incontro. Un istante, tanti istanti. Respiri e sospiri.
Dunque la testardaggine può in
qualche modo essere viatico per la persistenza di alcune cose della vita, ma
dovrà sempre fare i conti con l’evoluzione del mondo e quindi del contesto, ma
a anche e soprattutto dell’evoluzione del nostro punto di vista.
La testardaggine da sola non basta
perché sembra essere una caratteristica non determinante nel decidere gli
accadimenti.
E allora cosa serve? Occorre
consapevolezza, direte.
La consapevolezza è un concetto
assai ampio che non ho modo di affrontare in questo articolo. Basta però
pensare che la consapevolezza del sé e degli altri, la consapevolezza dei
propri sentimenti e dello spazio intorno al nostro corpo è una delle
caratteristiche più importanti che possediamo ed è anche quella che ci
distingue dagli animali.
Rende possibile una certa
determinazione, fissa dei confini, ci rende sicuri, ci porta a guardare le cose
in maniera differente, rende possibile l’analisi, rende possibile fare un
paragone.
La consapevolezza sembra essere la
via per dare nobiltà all’essere umano e alle sue innumerevoli vicissitudini.
Attraverso la consapevolezza si ha l’impressione che le nostre azioni siano
giustificate, quando addirittura non siano definite giuste. Perché è proprio
questo l’inganno. La consapevolezza ci spinge a definire, a dare una sistemazione,
a dividere la lavagna tra buoni e cattivi, ci spinge verso un futuro bianco o
nero.
Io personalmente, amici, non penso
sia giusto fermarsi a questa autodeterminazione umana/robotica costruita in
buona parte sul nostro essere che assomiglia molto da vicino ad un computer.
Ho capito per esperienza che essere
consapevoli per un determinato fatto o verso una certa situazione o anche più
meccanicamente nel movimento che riusciamo a fare mentre corriamo, è un livello
facilmente attaccabile da noi stessi.
Mi spiego. La consapevolezza è un
misto tra fisicità e razionalità nel nostro corpo ed è quindi influenzata da
quello che siamo; dalle caratteristiche fisiche, ovvero dalla resistenza al dolore,
dalla lunghezza degli arti, dell’estetica, etc etc, fino a quelle mentali come
l’intelligenza, la saggezza e la percezione delle cose. Il tutto, come detto
prima, diventa una variabile assoggettata al tempo e alla fase della vita che
attraversiamo.
Non mi sembra una conquista
definitiva. Forse un punto di partenza, ma non di arrivo. Valutare la vita
attraverso questa lente mi sembra limitativo e parziale. Per gli eventi che
reputiamo speciali, ci vuole ben altro.
Il livello più alto è l’illuminazione.
L’illuminazione possiede un aspetto supplementare,
una tridimensionalità che dona profondità alla nostra idea. È uno scambio
continuo tra il nostro intuito, la nostra capacità di proiettarci nel futuro e
l’ambiente esterno fatto di cose, emozioni, persone.
Questo turbinio di sensazioni ci
predispone all’illuminazione che di solito appare sotto forma di soluzione. In
modo consapevole o meno l’illuminazione guida la nostra vita e la definisce
tale.
È un percorso spesso accidentato, è
un lavoro duro e impegnativo con il proprio io, spesso rappresenta un viaggio
nell’ignoto. Ed è forse per questo che l’illuminazione è superiore. È
un’esperienza talmente forte che tutte le cose illuminate persistono nel tempo.
Anche le decisioni che prendiamo, qualsiasi
esse siano.
RM