mercoledì 30 giugno 2010

La persistenza delle cose.

Ci sono delle cose che nella vita rimangono più a lungo nella mente. Ovviamente esistono innumerevoli fattori perché una cosa, un evento, un attimo e via dicendo rimangono fissati nella memoria e nei nostri sentimenti.


Lo scopo di queste righe è cosa possiamo fare per migliorare questo aspetto tipicamente umano, in questo tempo particolare post moderno che scivola via molto più velocemente di 20 anni fa.

Non credo che la permanenza di un ricordo sia influenzata assolutamente dall’importanza o dalla profondità dell’evento né dal suo contenuto, ma solamente da come siamo predisposti in quel preciso momento che lo viviamo. Ovvero ci può capitare la più grande storia d’amore della nostra vita eppure riuscire a non notarla nemmeno, nemmeno uno sguardo, nemmeno un pensiero supplementare, per il semplice fatto che stiamo con un’altra persona, abbiamo il cuore già spezzato e non abbiamo intenzione di fare più danni del dovuto, siamo prudenti e/o legati troppo al passato, oppure siamo presi da altri problemi che spesso la vita ci pone davanti.

Magari succede che tutti quegli attimi vengano ignorati o persi nella memoria a breve termine, quella in cui riponiamo tutte le cose che vanno cancellate quasi immediatamente, un po’ come il cestino del computer che puliamo così spesso da non sapere nemmeno quante volte al giorno.

In generale diciamo che il cervello normalmente non riesce a tenere per lungo tempo tutti i dettagli che vorremmo, mano a mano che gli anni passano, in modo del tutto casuale, alcuni frammenti si perdono, i colori scompaiono, diventano sbiaditi, non perfettamente combacianti con la realtà che fu, non siamo più in quella scena, sconosciuti a noi stessi, ci scolliamo. Con questa dinamica ormai nota come possiamo pretendere di ricordare tutto di una cosa/evento che ci ha colpito particolarmente. Giorno dopo giorno dimentichiamo a favore di cose/eventi nuovi e più interessanti perché accadono in quel momento e vengono proiettati immediatamente nel futuro prossimo.

La persistenza delle cose sembra quindi legata inesorabilmente alla natura passeggera ed effimera dell’esistenza umana e appurato questo aspetto consideriamo, per avere un riferimento concettuale, la vita umana come l’eternità.

Dopotutto anche la scrittura risente della dimenticanza, nel tempo infatti cambia nei gusti dei lettori e viene accantonata perdendo d’importanza o autorità come nel caso dei libri di storia. E poi anche i formati multimediali che in questo momento eccedono in produzione, chi mai guarderà tra qualche tempo il video simpatico di Youtube? E lo stesso ultimo cronologicamente venuto alla ribalta tecnologica Facebook che conserva dati, post ecc ecc fino a 2 anni prima. Solamente 2 anni e poi tutto perso o almeno non più accessibile, come una piccola rinascita che spesso può essere utile ma che a volte, come in questo caso, sembra una condanna a non maturare mai, ritornare sempre allo stesso punto e a dimenticare in continuazione a favore di una proiezione non basata sul ricordo piuttosto sull’ansia del futuro.

L’unica persistenza reale in natura è la natura stessa che si racconta attraverso le sue grandi opere come gli alberi, le montagne, i fiumi e il mare, i temporali, il caldo e il freddo, e riesce a regolare o ad imporre la sua personale concezione.

Perché tutto quello che rimarrà dopo di noi è cresciuto con ritmi ancestrali, si è evoluto silenziosamente nelle foreste e sulle sommità delle montagne ma anche negli abissi più oscuri dell’oceano. Poi in conclusione un albero non nasce e non si sviluppa solamente per l’abbondanza di acqua o il tipo d’insolazione, ma anche di altri attori come il sistema del sottobosco, il nutrimento del terreno, gli animali che lo sfruttano e il tempo inesorabile.

E per riuscire ad avere una permanenza delle cose più funzionale dovremmo tenere presente che tra esseri umani non può nascere e crescere niente se non per merito di innumerevoli fattori, come la dedizione, la passione, il pensiero, il sacrificio, l’ossessione, la bellezza, la fisicità, la presenza, il sapere, il sogno.

Tutto questo potrebbe portare a rimanere nella memoria per un tempo indefinito, un tempo che non ti fa preoccupare perché tende all’eterno, ovvero almeno per una vita intera.

Ed è per sempre.

RM

martedì 9 marzo 2010

Plastic Beach, musica elaborata

Questo è il terzo capitolo della saga della band virtuale che si fa chiamare Gorillaz. Oltre al genio musicale di Damon Albarn (Blur) e quello grafico di James Hewlett (vedi la coprertina del cd), nelle 16 tracce si alternano le straordinarie collaborazioni di artisti noti come Snoop Dogg, De La Soul, Mos Def, Lou Reed e Bobby Womack. In esclusiva anche Mick Jones e Paul Simonon, per la prima volta insieme dai tempi dei Clash. Devo dire che sono 16 pezzi musicali forti, come sempre innovativi e dal sound originale, tutt’altro che virtuale.
Ma la cosa che colpisce di più sono gli incroci di sonorità pacata, dal gusto urban che cambia in continuazione (lo sa chi è stato a Londra più di una volta) e a tratti da sottofondo colto. Uso l’aggettivo colto perché si coglie una certa voglia di ispirare, di far pensare, di far viaggiare l’ascoltatore nelle sue profondità emozionali. Mi riferisco ad un brano in particolare ovvero quello che dà il nome all’album Plastic Beach.
D’altronde la musica cos’è se non una continua scoperta di quali rumori e/o suoni produce la nostra anima? Ecco, premendo play, dal primo secondo capiamo che ci troviamo davanti ad un lavoro non scontato, preparato da chi capisce la musica e soprattutto i tempi in cui viviamo.
Buon ascolto.

RM

mercoledì 20 gennaio 2010

Il dono del talento


Consiglio a tutti un’ottima lettura per sfatare alcuni miti popolari sul talento e i doni divini.
Mozart non era un genio. Più semplicemente, ha cominciato a "lavorare duro" all'età di quattro anni, costretto dal padre a esercizi estenuanti. Se ha composto giovanissimo i suoi primi capolavori era solo perché aveva già alle spalle una lunga "pratica determinata". Le basi scientifiche della tesi sostenuta da Geoff Colvin in questo saggio divulgativo si trovano in recenti studi su talento, memoria, intelligenza e le loro relazioni. Per Colvin, nessuno scienziato è finora riuscito a dimostrare l'esistenza di caratteristiche genetiche collegate a una predisposizione innata al talento. Mentre le biografie di artisti, campioni dello sport, statisti, capitani d'industria rivelano l'importanza di un metodo di lavoro efficace, basato sulla capacità di analizzare i risultati e imparare dagli errori. È un metodo che, come insegna questo libro, può essere applicato con successo anche alla vita lavorativa e personale.

Bubble di Steven Soderbergh, centrifugato di realtà.


Siamo negli Stati Uniti, in una cittadina sperduta dell'Ohio. I protagonisti sono Martha e Kyle che lavorano in una fabbrica di bambole. La loro vita è piatta, sempre uguale a se stessa. Lavoro, junk food per pranzo, lavoro, e poi a casa davanti alla televisione. L'amicizia che li lega, sembra un rifugio della malinconia, ma viene improvvisamente minacciata per l'arrivo di una nuova operaia, Rose, che suscita interesse in Kyle. Una mattina Rose viene trovata morta, strangolata.
Primo di sei film che Steven Soderbergh dirigerà con la 2929 production, Bubble, non è solamente interessante per la strategia distributiva innovativa (negli Stati Uniti sarà distribuito contemporaneamente nelle sale, in Dvd e in televisione ad alta definizione) ma anche per l'approccio minimalista a una piccola storia di provincia che perde il suo equilibrio al momento del delitto, paradossalmente, momento di luce nell'esistenza dei protagonisti. Girato in tre settimane, il film è interpretato da attori non professionisti che si fondono con lo scarno ambiente circostante. Inquietante il riff di chitarra su cui è costruita la colonna sonora e la dinamica di costruzione delle bambole.
Da vedere assolutamente.

Interview di Steve Buscemi, un capolavoro di scrittura


Pierre Peders, autorevole reporter di guerra in declino, è costretto ad intervistare una starlette della televisione americana, la bionda e apparentemente inconsistente Katya. Dopo una vivace schermaglia al tavolo di un ristorante alla moda, dove l'attrice si fa attendere oltre l'ora, il giornalista contrariato si allontana in taxi. Un incidente provocato involontariamente dall'avvenenza di Katya la metterà di nuovo a confronto con Pierre. Invitato a salire nel suo loft di New York, Pierre avvierà un'intervista senza esclusione di colpi. Tra rivelazioni e menzogne, soltanto uno porterà il punto a casa.
Al centro delle immagini di Interview, remake americano del film omonimo di Theo van Gogh, c'è paradossalmente quella non-immagine che è la parola, invisibile ma potente. La caratteristica del film di Buscemi è l'apparente assenza di azione. Le "imprese" che hanno determinato i caratteri e la professione dei protagonisti, il cinico giornalista e la capricciosa attrice di soap, sono soltanto evocate dalle battute dei personaggi, che parlano incessantemente perché parlare è l'unico modo in cui possono agire. Ma non si dicono che magnifiche bugie: il giornalista inganna l'attrice, l'attrice recita per il giornalista.
Steve Buscemi e Sienna Miller danno prova di un'abilità fisica e tecnica straordinaria, dimostrando il potere alchemico della parola e portando in scena l'eterno gioco dell'apparire e dell'essere. La verità è qualcosa che continua a sfuggire, qualcosa che può svelarsi per rivelarsi subito dopo come ennesima falsa verità.
Ottima la musica appena percepita ma c’è e Sienna Miller… be’ che dire, giudicate voi.