Qualche
giorno fa (finalmente) ho avuto modo di vedere Cloud Atlas, film uscito a
gennaio 2013, produzione gigantesca e costosa con un ritorno di critica
(soprattutto) e d’incassi un po’ deludente.
Infatti
nonostante le 6 storie intrecciate in epoche diverse ma come fossero sulle
stesso piano temporale, sembra più un laboratorio sperimentale dove autori,
registi e artisti degli scenari si sono cimentati in un’opera scollegata, quasi
a compartimenti stagni. Forse perché effettivamente i due registi si sono
occupati di episodi specifici che poi sono stati montati successivamente
alternando un ritmo non convincente.
Il film è
imperfetto, questo è innegabile, ma è altrettanto innegabile che abbia una poetica
e una filosofia portante estremamente interessante. Ce ne sono anche di
sottostanti, tutte affascianti e da scoprire. Colpisce insomma.
L’architettura
principale è la vita di ognuno di noi che non appartiene davvero a noi ma è di
tutti perché interconnessa con gli altri e insieme a questi altri riusciamo ad
indirizzare il nostro futuro. Tutto nasce dai crimini e dalle gentilezze che
facciamo. Nelle storie si affrontano temi importanti come la lotta alla
schiavitù o il benessere del pianeta, i diritti umani e la libertà sessuale.
Poetica
anche la colonna sonora. Spaziale, melanconia, questo pianoforte ricorrente e
scarno che amplifica le scene più toccanti.
Cloud
Atlas è un film comunque da guardare perché ognuno di noi ci può prendere un
messaggio utile all’anima, anche se poi è imperfetto come la poesia più bella è
imperfetta. E assomiglia un po’ a tutti noi.
“Capisco
solo ora che i confini tra rumore e suono sono convenzioni,
tutti i
confini sono convenzioni in attesa di essere superate.
Si può
superare qualunque convenzione solo se
prima si può concepire di poterlo fare.”
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