martedì 2 dicembre 2014

Perché Interstellar di Christopher Nolan è un film mediocre


Mediocre non è un aggettivo negativo o almeno non del tutto perché è riferito a cosa che per grandezza, quantità o qualità è nel mezzo fra i due estremi. Appunto Interstellar mi è sembrato così.
Premetto che la visione è avvenuta in sala Energia del cinema Arcadia, famoso a tutti gli appassionati per le dimensioni dello schermo e la portata audio, e soprattutto è stato visto in versione 70 mm e non in quella artefatta del 4K.
Certo forse una visione così in ritardo sull’uscita ha fatto sì che le aspettative siano state al top, costruite su un misto di critiche scientifiche/fisiche e tecniche ma anche su un’elevazione allo status di capolavoro come lo è certamente 2001 Odissea nello spazio. Mi sento di dire però che le aspettative non sono state il problema alla natura della mia critica (abbastanza) negativa. I fatti sono oggettivi.
Il film è costato 165 milioni di dollari che al cambio attuale sono circa 133 milioni di euro. Con 133 milioni di euro, sarò banale, ma era difficile per uno come Nolan sbagliare. E, infatti, non dico che il film fa schifo anzi, alcune immagini resteranno nella storia del cinema, i dettagli sono molto curati soprattutto nel fuori fuoco dei primi piani dove la polvere si accumula sulle soglie delle finestre, gli attori sono bravi anche se piangere è la prima cosa che ti insegnano alla scuola di recitazione e durante il film si piange spesso... poi cosa? Ah gli effetti speciali, sì anche quelli sono accettabili anche se i movimenti nello spazio non sono assolutamente all’altezza del già citato 2001 girato nel 1968!!! E poi lo staff si è avvalso della consulenza dei maggiori nomi della fisica moderna per non uscire troppo dal seminato, cosa mi sembra di aver letto non è servita affatto visti gli “errori scientifici”. Ma io non ho la competenza per giudicare questo. Però.
Il film ha una lunghezza esagerata e subito appare lento e asfittico, senza mordente, senza scene clamorose, come una canzone pop che già nel suo inizio ti fa sentire il ritornello.
E poi la storia, la sceneggiatura scritta principalmente da Jonathan Nolan (38 anni) fratello del regista e finalizzata/adattata dallo stesso. Cosa dire? La prima impressione è che Jonathan sia innamorato, inserisce un mini tormentone di una splendida poesia di Dylan Thomas dedicata al padre morto di cancro (l'Odissea nella spazio di 2001 aveva un riferimento letterario ben più preciso), dissemina il film di citazioni che anche Lenny Kravitz fa in una sua canzone tipo che l’amore trascende lo spazio e il tempo, e poi sembra che l’amore non sia solamente un’ulteriore dimensione ma la dimensione più importante quella che scardina la forza di gravità, il tempo, lo spazio, la velocità, ecc ecc.
Ci piace pensare, sognare, sperare, agognare che sia così, ma... non è così, non è così sulla terra figuriamoci nello spazio profondo regolato da chissà quali forze. Ok tutto così romantico che l’ho davvero apprezzato. Ma il punto è che Interstellar è o dovrebbe essere un film di fantascienza.
Quindi, ergo, Interstellar non è un film di fantascienza. Ma allora cos’è?
Un film d’amore? No. Una commedia? A tratti, quando ad esempio il protagonista dopo tutto il casino si sveglia in un letto soffice e pulito e l’infermiere gli dice: “Faccia con calma, con la sua veneranda età di 124 anni deve andarci piano” la ragazza dietro di me è scoppiata a ridere. Quindi è un film drammatico/thriller? No, perché il film drammatico è costruito in un altro modo e soprattutto e sottolineo soprattutto nelle scene clou non alza la musica per evidenziare la scena. Davvero se togliessimo la musica in alcune scene la pellicola sarebbe ottima per far addormentare i bimbi in culla.
Allora dobbiamo dire che questo film è un Fantasy come lo è Harry Potter o Lo Hobbit o Il Signore degli Anelli o anche perché no Batman. E infatti Nolan si è cimentato con Batman e gli è riuscito pure bene (anche per merito di Christian Bale che “sfonda” lo schermo).
Per concludere dopo svariate peripezie dove il protagonista sopravvive alla smaterializzazione del buco nero, sopravvive a forze da 30 G, sopravvive ad atterraggi pazzeschi, a onde altre non si sa quanto, sopravvive allo spazio, all’azoto respirato dal casco rotto, alla fine di tutto questo rocambolesco viaggio, riparte con una navicella per raggiungere il pianeta X, quello che dovrebbe essere la nuova casa dell’umanità.

Perplessità per il film, ma esco dal cinema sicuro che le nuove tecniche di marketing e comunicazione funzionano perfettamente.

domenica 30 novembre 2014

L’epoca della stupidità

Ogni epoca ha avuto il suo momento di stupidità come l’invenzione e lo sviluppo di un divertimento futile o un conflitto sociale o addirittura una guerra. Ma a bilanciare questa voglia atavica dell’uomo di evasione dalla sua coscienza o pensiero forte e dalla routine del lavoro, c’è sempre stata una proposizione di qualcosa che nel bene o nel male ha segnato il genere umano. E intendo produzione di opere indimenticabili, correnti di pensiero, scoperte scientifiche, meraviglie dell’evoluzione insomma. Non mi soffermerò a definire “epoca” ma il lasso di tempo che comprende almeno tre generazioni ha sempre prodotto cibo per la nostra crescita umana come cittadini del mondo.
Ed esempio Roma imperiale aveva il Colosseo ma anche il Senato, la Grecia antica aveva i baccanali ma anche la filosofia di Platone… ogni epoca ha avuto da sempre la sua produzione intellettuale affiancata a quella ludica.
Fino ad oggi. Oggi viviamo oltre il senso del luogo, viviamo la smaterializzazione dei rapporti sociali, delle professioni e anche del mondo reale. Sono, infatti, innumerevoli e sempre più comuni le patologie psicologiche che inducono le persone a vivere una vita non reale, una vita paragonabile a un fumetto, sogni ad occhi aperti. Lo spazio e il tempo si sono relativizzati a favore di una smaterializzazione generale preoccupante. Preoccupante soprattutto per il tessuto produttivo e non tanto per i rapporti sociali che ognuno imposta come vuole. Ma sotto l’aspetto professionale oggi sul mercato possiamo trovare figure strane e a volte insignite di profonda responsabilità.
Mi riferisco ad esempio a chi tratta la finanza sapendo poco o niente della materia, ma avendo dalla propria parte una buona attitudine alle pubbliche relazioni, anche perché spesso manca una laurea vera e propria. Infatti, molte di queste figure professionali studiano comunicazione per approcciare il cliente in maniera più attinente. Ovviamente il mercato offre anche eccellenze di cui ci si può fidare, eccellenze indipendenti che gestiscono i prodotti finanziari in maniera adeguata. Comunque fate attenzione, pretendete certificazioni che vengano dall’esterno dell’azienda e soprattutto da enti che da lungo tempo si occupano della materia come Università e/o Master organizzati dalle stesse.
E poi ci sono i “colleghi” che hanno adottato la via dell’autopromozione come brand di se stessi e per essere più efficaci pubblicano video di una banalità e comicità estrema. Prestano consulenze ad aziende smarrite che purtroppo si fidano di alcuni visionari che porteranno l’azienda a cambiare target per forza. “Perché nel 90% dei casi è il target che non funziona” dicono loro… Potrebbe però essere un errore perché per me nel 90% dei casi quello che non funziona è il prodotto e come lo si comunica. Ok potremmo discutere lungamente su questo argomento ma non è mia intenzione qui. Qui nasce un grido di attenzione, di allerta.
Non è solamente questo ovviamente il punto. Prendiamo i social network che stanno andando verso la maturità, nati da un bisogno moderno di interazione, oggi hanno spostato l’attenzione della “prima impressione” più sulla facciata estetica che su quella vera, la personalità e le caratteristiche della persona in carne ed ossa e cervello. Molte persone pensano che avere un profilo facebook impostato/adeguato possa ovviare alle lacune che si vengono a palesare nel mondo reale.
La smaterializzazione non ha portato solamente alla confusione professionale, in altre parole addetti PR che vendono prodotti finanziari o profili facebook stilisticamente perfetti che sono scrittori di successo o cantanti sconosciuti su youtube che hanno migliaia di visualizzazioni, ma ha portato a un’attitudine, per ma davvero fastidiosa di buonismo che tarpa le ali ad esempio a tanti talenti che si stanno formando in Italia ora.
Il problema del bullismo, il problema delle modelle troppo magre, la violenza sulle donne, l’omosessualità e il matrimonio, i diritti dei cani, gli spot sessisti. Basta! Per favore basta! Liberatevi da questo bombardamento di post, di spot, di slot, di affissioni, di foto… questa pioggia è acida e fa male al vostro stato mentale in generale portando l’umanità a questa evidente stagnazione. L’umore dei paesi industrializzati non è neppure più misurabile perché nero, non c’è fiducia nel futuro perché non c’è una tematica importante che resista un giorno intero. La vita è un hashtag perpetuo dove quello che era importante ieri non lo è più oggi. Il partner che ieri mi ha fatto impazzire oggi è solo un ricordo. La musica che ieri sera mi ha fatto ballare come un pazzo oggi è così “vecchia”, la filosofia di vita che adottavo ieri oggi mi sembra così sorpassata.
Non dico certo che le problematiche sopra elencate non siano da affrontare in maniera seria e responsabile, ma non possiamo vivere solo di questo, bisognerebbe affrontarle nell’intimo tutti i giorni, come persone equilibrate e scegliere cosa è meglio o cosa ci piace di più se la carne o la verdura, se una modella in carne o una modella più magra, se devo indignarmi o no per il fatto che i cani pisciano sul mio portone di casa o sulla ruota della mia automobile. Oppure se un sindaco si deve preoccupare prima di tutto di nozze omosessuali e poi di dare una casa a famiglie indigenti. Chissà.
Io dico che come persone dovremmo liberarci da questo flusso senza senso, pensare che la smaterializzazione si applichi su qualcosa che prima costruiamo dettato dalla nostra coscienza e cultura, che le aziende riescano a capire di ricercare figure professionali che si battano per loro sul mercato di oggi e di domani con nuovi strumenti ma anche con professionalità. E poi attenzione a chi pensa di avere sempre ragione perché sono proprio loro ad averla persa in questa epoca di passaggio dove si rischia di perdere il sogno dell’intelligenza collettiva. In questa epoca di stupidità (collettiva).


RM

mercoledì 30 luglio 2014

Cloud Atlas: superare le convenzioni

Qualche giorno fa (finalmente) ho avuto modo di vedere Cloud Atlas, film uscito a gennaio 2013, produzione gigantesca e costosa con un ritorno di critica (soprattutto) e d’incassi un po’ deludente.
Infatti nonostante le 6 storie intrecciate in epoche diverse ma come fossero sulle stesso piano temporale, sembra più un laboratorio sperimentale dove autori, registi e artisti degli scenari si sono cimentati in un’opera scollegata, quasi a compartimenti stagni. Forse perché effettivamente i due registi si sono occupati di episodi specifici che poi sono stati montati successivamente alternando un ritmo non convincente.
Il film è imperfetto, questo è innegabile, ma è altrettanto innegabile che abbia una poetica e una filosofia portante estremamente interessante. Ce ne sono anche di sottostanti, tutte affascianti e da scoprire. Colpisce insomma.
L’architettura principale è la vita di ognuno di noi che non appartiene davvero a noi ma è di tutti perché interconnessa con gli altri e insieme a questi altri riusciamo ad indirizzare il nostro futuro. Tutto nasce dai crimini e dalle gentilezze che facciamo. Nelle storie si affrontano temi importanti come la lotta alla schiavitù o il benessere del pianeta, i diritti umani e la libertà sessuale.
Poetica anche la colonna sonora. Spaziale, melanconia, questo pianoforte ricorrente e scarno che amplifica le scene più toccanti.
Cloud Atlas è un film comunque da guardare perché ognuno di noi ci può prendere un messaggio utile all’anima, anche se poi è imperfetto come la poesia più bella è imperfetta. E assomiglia un po’ a tutti noi.

“Capisco solo ora che i confini tra rumore e suono sono convenzioni,
tutti i confini sono convenzioni in attesa di essere superate.
Si può superare qualunque convenzione solo se prima si può concepire di poterlo fare.”

martedì 29 luglio 2014

Il marketing musicale di Lenny Kravitz

È evidente che dopo l’annunciato nuovo album a settembre 2014 di Lenny Kravitz, il marketing che si occupa dell’artista americano sta lavorando per modulare al meglio gli assaggi che vengono rilasciati in rete.
Primo estratto in assoluto è stato The Chamber; un pezzo molto interessante con delle sonorità ovviamente rock che richiamano gli anni ’90 e da un testo a dir poco drammatico. Lui che soffre per un tradimento senza precedenti, l’amore spezzato, amore che lui ha dato senza limiti distrutto da un tradimento consumato in quella camera... Be’ l’immagine di Lenny che soffre così è un po’ improbabile però diciamo che le canzoni pop sono tutte delle metafore (a parte quelle di Biagio Antonacci!) della vita di ognuno di noi e seppur in situazioni che solo raramente accadono, ci piace pensare che prima o poi o in determinate situazioni possano davvero capitare. A ben vedere i testi delle canzoni che parlano d’amore sono tutti improbabili, ma tant’è.
Da poco è stato rilasciato invece il secondo singolo dal titolo Sex; canzone molto originale che già fa lievitare il suo punteggio. Il titolo è abbastanza esplicativo di un testo stringato e leggero adatto all’estate. Un Lenny che sembra essersi ripreso dalla delusione amorosa e che è convinto ancora una volta che “Girl, love is the only remedy (Sex, sex, sex)”. Certo, con le opportune modifiche...
Messaggio chiaro e se vi sembra contraddittorio riflettete sul fatto che l’amore lo è e noi con esso. Buon ascolto!
Da annotare: il 10 novembre prossimo sarà a Milano per l'unica tappa in Italia.


giovedì 15 maggio 2014

Prendere una decisione

Anni fa mi sono chiesto della “persistenza delle cose” concludendo il mio ragionamento con una considerazione: solamente madre natura la possiede nella sua totalità. Non mi addentravo però in quello che succede all’essere umano lungo la strada per riuscire a mantenere i suoi accadimenti. La notizia è che nei nostri fallaci tentativi, a volte, anche se per periodi limitati, riusciamo.
La persistenza delle cose ci fornisce una strada da percorrere, ci dà un indirizzo preciso che ci aiuta a prendere delle decisioni.
Come?
Può bastare la testardaggine?
O un sogno insistente o un desiderio ricorrente?
È una domanda che mi percuote il cervello senza sosta e non mi lascia tempo per formulare una valida risposta, ma proverò ugualmente.
Le forze che attraversano la nostra vita sono molteplici e variegate, ma soprattutto acquisiscono forme diverse con lo scorrere del tempo. L’importanza che si lega ad alcuni eventi è strettamente legata, legata indissolubilmente direi, al tempo che accumuliamo sulla nostra pelle e negli occhi.
Dico questo perché si pensa erroneamente, attraverso un’alta dose d’intransigenza, che la costante massima nella vita sarà sempre quella di essersi accaparrato le idee migliori, sarà essere coerenti ai propri pensieri o responsabili verso i valori più intimi che possediamo. Il punto però è che quei valori, quelle credenze, tutte quelle idee seppur mature e radicate nel nostro animo, sono e restano “roba” elaborata, creata e filtrata dalla nostra personalità, che approccia alla vita attraverso dinamiche personali.
Ma il vivere quotidiano ci riserva una moltitudine di fatti che segnano per sempre il nostro essere indipendentemente da come siamo. Un lutto ad esempio. Una nascita ad esempio. Un addio per esempio o un incontro. Un istante, tanti istanti. Respiri e sospiri.
Dunque la testardaggine può in qualche modo essere viatico per la persistenza di alcune cose della vita, ma dovrà sempre fare i conti con l’evoluzione del mondo e quindi del contesto, ma a anche e soprattutto dell’evoluzione del nostro punto di vista.
La testardaggine da sola non basta perché sembra essere una caratteristica non determinante nel decidere gli accadimenti.
E allora cosa serve? Occorre consapevolezza, direte.
La consapevolezza è un concetto assai ampio che non ho modo di affrontare in questo articolo. Basta però pensare che la consapevolezza del sé e degli altri, la consapevolezza dei propri sentimenti e dello spazio intorno al nostro corpo è una delle caratteristiche più importanti che possediamo ed è anche quella che ci distingue dagli animali.
Rende possibile una certa determinazione, fissa dei confini, ci rende sicuri, ci porta a guardare le cose in maniera differente, rende possibile l’analisi, rende possibile fare un paragone.
La consapevolezza sembra essere la via per dare nobiltà all’essere umano e alle sue innumerevoli vicissitudini. Attraverso la consapevolezza si ha l’impressione che le nostre azioni siano giustificate, quando addirittura non siano definite giuste. Perché è proprio questo l’inganno. La consapevolezza ci spinge a definire, a dare una sistemazione, a dividere la lavagna tra buoni e cattivi, ci spinge verso un futuro bianco o nero.
Io personalmente, amici, non penso sia giusto fermarsi a questa autodeterminazione umana/robotica costruita in buona parte sul nostro essere che assomiglia molto da vicino ad un computer.
Ho capito per esperienza che essere consapevoli per un determinato fatto o verso una certa situazione o anche più meccanicamente nel movimento che riusciamo a fare mentre corriamo, è un livello facilmente attaccabile da noi stessi.
Mi spiego. La consapevolezza è un misto tra fisicità e razionalità nel nostro corpo ed è quindi influenzata da quello che siamo; dalle caratteristiche fisiche, ovvero dalla resistenza al dolore, dalla lunghezza degli arti, dell’estetica, etc etc, fino a quelle mentali come l’intelligenza, la saggezza e la percezione delle cose. Il tutto, come detto prima, diventa una variabile assoggettata al tempo e alla fase della vita che attraversiamo.
Non mi sembra una conquista definitiva. Forse un punto di partenza, ma non di arrivo. Valutare la vita attraverso questa lente mi sembra limitativo e parziale. Per gli eventi che reputiamo speciali, ci vuole ben altro.
Il livello più alto è l’illuminazione.
L’illuminazione possiede un aspetto supplementare, una tridimensionalità che dona profondità alla nostra idea. È uno scambio continuo tra il nostro intuito, la nostra capacità di proiettarci nel futuro e l’ambiente esterno fatto di cose, emozioni, persone.
Questo turbinio di sensazioni ci predispone all’illuminazione che di solito appare sotto forma di soluzione. In modo consapevole o meno l’illuminazione guida la nostra vita e la definisce tale.
È un percorso spesso accidentato, è un lavoro duro e impegnativo con il proprio io, spesso rappresenta un viaggio nell’ignoto. Ed è forse per questo che l’illuminazione è superiore. È un’esperienza talmente forte che tutte le cose illuminate persistono nel tempo.
Anche le decisioni che prendiamo, qualsiasi esse siano.


RM