Devo ammetterlo, negli ultimi anni i Pearl Jam non mi entusiasmavano più. O meglio, dai tempi dell'Università quando il loro No Code e il successivo Yield passavano e ripassavano sotto il raggio laser fino a consumarsi, fino ad oggi, il loro impegno anche sociale era andato oltre la musica, oltre il senso musicale.
Però dopo l'antipasto gustato con la colonna sonora di Into the wild, Eddie Wedder riesce a comporre altre canzoni emozionanti e incredibilmente rock. Sì rock avete capito bene, quel rock che ti fa mimare la chitarra elettrica, muovere la testa avanti e indietro e saltare come un pazzo. Per non parlare poi in macchina... rimango dell'idea che la musica contenuta nell'album è stata pensata per testare le Ferrari. In ogni modo abbandonata la pesantazza del testo "impegnato" la band è tornata a fare musica intensa, potente, intelligente negli accordi e soprattutto mai scontata nelle rifiniture.
Quanto è difficile dire e suonare quello che ancora non è stato detto o suonato oggi?
Oggi dove un album scaricato perde quel fascino dell'acquisto, del profumo della carta, della lettura dei testi, dello studio della confezione che come sanno i fan è sempre curata e da collezione. Questa volta sotto forma di fumetti i Pearl Jam disegnano o prospettano un mondo vessato dallo strapotere dei media e della spettacolarizzazione dell'esistenza che lavora in profondità di alcune menti deboli.
Il tutto raccolto sotto il titolo altisonante/originale di Backspacer. Il tasto Backspace è notoriamente il tasto per cancellare una lettera alla volta, uno spazio alla volta, ma allo stesso tempo significa anche tornare indietro, recuperare quanto perso e riscrivere una nuova pagina. E chi compie queste azioni, metaforicamente nella vita, potrebbe essere un Backspacer.
Forse l'idea portante di questo album, essenziale anche nell'arte in generale come in un libro, può essere sintetizzata in una frase del brano The fixer: "When somethings gone, I wanna fight to get it back again".
Buon ascolto.
Riccardo
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