A Venezia è stato presentato Videocracy di Erik Gandini e si è sollevato un polverone di discussioni, accuse politiche, vessazioni internazionali, derisioni cosmiche a danno degli italiani, della classe politica e della cultura del Bel Paese.
A parte che la maggior parte di quelli che fanno rumore (spesso sulla stampa) non ha ancora visto il film e non ha potuto giudicare fino in fondo e se l’ha fatto, l’ha fatto in una sala predisposta al clamore, rumorosa e piena di distrazioni: risate e brusii nei passaggi del film che ironizzavano sul ministro Mara Carfagna e sulla suoneria del telefonino di Lele Mora ispirata al Ventennio. Ma quello che proprio non capisco è l’accanimento che si riversa fuori dall’arte o dell’opera fino a toccare altre sfere. Non ho letto un commento sulla qualità del film, per esempio sono curioso di sapere come sia possibile raccontare 30 anni di tv italiana, di politica, di cultura, ecc, in un tempo cinematografico.
Comunque, dato che non ero tra i 450 fortunati che hanno visto per commentare, sono andato a rivedere l’opera precedente del Gandini, ovvero Surplus. E ho capito molto di più sia sulla persona, sia sul messaggio che porta riguardo al consumismo. Lo stile di vita consumistico è oggetto di molte polemiche non c’è dubbio, ma perché? Perché si vuole salvare il pianeta dallo sfruttamento conseguente alla produzione di massa forse?
Si potrebbe certo fare una riflessione ponderata oggi su questo argomento, ma Gandini preferisce intervallare un montaggio da video clip di terzo ordine a un messaggio reazionario e nazista. Reazionario perché si prospetta il ritorno alla vita primitiva come soluzione di tutto e nazista perché si giustifica l’attacco, la distruzione, la violenza alla proprietà privata fondamento della nostra società. Non a caso il cortometraggio inizia e celebra poi le immagini terribili del G8 a Genova.
Ho anche letto “Surplus è il risultato di un complicato processo di montaggio ad opera del talentuoso musicista compositore, tecnico di montaggio e percussionista Johan Söderberg”, be’ vi invito a guardarlo e a riderci sopra, a sorridere di un loop analogico e nemmeno tanto ritmico che a tratti intervalla immagini “gentilmente concesse” di discariche, violenze e interviste improbabili tra le quali si annovera quella di una ragazza cubana che per la prima volta si reca a Londra invitata da un amico ed entra in un supermercato. Ora, non so se sapete che a Cuba è tutto razionato e sugli scaffali non c’è proprio niente, è quasi surreale entrare dal panettiere. Lei allora in questo dramma assurdo diventa la portavoce migliore per la tesi sostenuta che la pubblicità, la tv, la tecnologia, il consumismo ci porta alla follia. Come vi sentireste se con un’astronave vi portassero su un altro pianeta avanti cento anni… Minimo rimarreste a bocca aperta, no? Be’ è quello che ha fatto la ragazza che dopo aver passato tutta la vita a mangiare fagioli e zuppa, si è presa un Big Mac. Strano proprio per una ragazza di 20 anni. In ogni modo, in questa Cuba strumentalizzata come il paradiso terrestre, vediamo anche una vecchietta americana in pensione con il libretto delle razioni in mano, dire: “È un sistema che funziona!”. Certo sono americano, vado in pensione, voglio godermi gli ultimi anni della mia vita e dove vado? In Florida nooo, in California nooo, ma che brutti posti, aspetta un attimo, aspetta… Certo vado a Cuba, lì sì che posso permettermi tutto! Ma fammi il piacere!
Però alla fine magari dopo aver visto illustri signori parlare di rivoluzione culturale, dopo ben 44 minuti girati in una moltitudine di location che nemmeno Hollywood (finanziati dalla stato svedese, loro sì che sono avanti) ci sarà pure una soluzione, una proposta, uno sguardo sul futuro!
No. Niente. Titoli di coda.
Saluti.
Riccardo
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